Premettendo che questo post conterrà probabilmente inesattezze, superficialità e visioni di parte, posso dire a questo punto:
ma cos'è tutta sta fissa del gioco simbolico??
E' mai possibile che a qualsiasi osservazione (pedagogica, psicomotoria, logopedica, neuropsichiatrica) si arrivi all'inevitabile domanda posta al genitore di soggetto con DSA: "ma suo figlio gioca a far finta di...? No, mio figlio non gioca "a far finta di" se gli metti davanti un bambolotto e pretendi che lui gli dia da mangiare un pezzo di plastilina (magari verde, per giunta. Cos'è, una puntata di Visitors?)
Solitamente nei bambini a sviluppo tipico il gioco simbolico compare verso i 24 mesi, non a caso in coincidenza con il passaggio dalla parola singola alla protofrase nella produzione linguistica, nonché con un'ampliata comprensione del messaggio verbale.
Da quando in qua gli orsi bevono il té?? Scherzo, ovviamente |
Nei coetanei con DSA, a parità di epoca di sviluppo, quasi sempre il gioco simbolico è assente, e questa anomalia viene considerata un indicatore diagnostico molto attendibile della presenza di un disturbo dello spettro autistico, ovviamente se questo avviene in compresenza con una costellazione di altri sintomi. L'incapacità di giocare "a far finta di" diventa così l'epifenomeno di un pensiero poco flessibile, debole nell'attivare un processo di attribuzione in diversi soggetti e contesti, castigatore dell'immaginifico e, soprattutto, prono nei confronti della concretezza a discapito del simbolico e dell'astratto. In un bambino di due anni, l'assenza di quello che gli anglofoni chiamano pretend play è uno dei criteri di inclusione nella diagnosi di DSA secondo il DSM IV-TR (ma nel DSM V non c'è.... strano!), nonché un indicatore prognostico saliente nella CHAT di Baron-Cohen (strumento di screening per l'autismo in bambini dell'età di 18 mesi).
Giocare "a far finta di" è, essenzialmente, un narrare. I nostri figli, molto spesso, hanno un ritardo di sviluppo tale per cui, nella fase "incriminata", hanno iniziato a camminare da poco, l'imitazione è sovente deficitaria, il linguaggio verbale non è ancora comparso o, se lo è, presenta gravi anomalie come l'ecolalia, e allora mi chiedo: con quali strumenti un bambino con queste caratteristiche può, a due anni, dar vita a un gioco simbolico che sia decodificabile come tale da parte nostra? Come possiamo sapere se sta spingendo un carrello per puro piacere sensorimotorio, per scoprirne la funzionalità, per imitare il gesto di qualcuno, o perché si sta raccontando senza parole che sta andando a far la spesa proprio come la sua mamma? E soprattutto: se c'è gioco simbolico allora c'è un pensiero di un certo tipo, mentre se non c'è (perché non si mostra come tale, sottolineo) siamo allora in presenza di un altro tipo di pensiero? Le limitazioni metodologiche ed epistemologiche di queste assunzioni sono evidenti. Non credo, insomma, che di per sé l'assenza di gioco simbolico a due anni denoti univocamente un certo tipo di pensiero.
E non credo neanche che la mancata emergenza di questa capacità in una determinata fase di sviluppo pregiudichi altrettanto univocamente la sua acquisizione in una fase successiva. Credo piuttosto che la capacità riconoscibile di avere un gioco simbolico si mostri in quanto tale solo dopo l'acquisizione del linguaggio, e non viceversa (come postulano invece alcune teorie). Il nostro caro Lupidus ad esempio, solo in questi ultimi mesi sta dando dimostrazione di cimentarsi in un gioco simbolico più ricco e variegato, e questo, non a caso dal mio punto di vista, è conseguente all'ampliarsi del suo vocabolario. Se ora lancia un pesce di gomma e mi dice "splash", comprendo che sta facendo finta di far tuffare il delfino, ma forse fino a qualche tempo fa avrei potuto pensare che si trattasse di un semplice gesto afinalistico. Se mette due pupazzi vicini e dice "piange", adesso posso pensare che uno dei due stia guardando l'altro che piange, mentre in precedenza potevo pensare ad un semplice accostamento casuale, o comunque puramente spaziale e privo di significato. Non confondiamo insomma la capacità di produrre significati con la capacità di avere significati.
E adesso potete anche mettermi in croce. Simbolicamente, ovviamente.