La diagnosi formalizzata di Lupidus ha segnato uno iato definitivo tra tutto ciò che era un prima e un dopo per la nostra famiglia. Era il 7 aprile 2010. Lupidus aveva quasi due anni e mezzo. Se guardo i video dell'epoca, vedo un bambino indubbiamente indietro nello sviluppo rispetto alla sua età cronologica, ma anche sorridente, a suo modo comunicativo, con un ottimo contatto oculare. E' stato difficile per noi realizzare che qualcosa non andasse. O meglio: si trattava della percezione del fatto che qualcosa andasse più lento del normale, ed abbiamo vissuto nell'attesa di questo qualcosa.
Nel suo primo anno di vita Lupidus è stato il classico bambino "a basso mantenimento". Regolare nelle poppate, regolare nel sonno, mai una colica, svezzato nei tempi e con facilità, sorridente ma anche poco richiedente, il classico bambino "che dove lo metti sta". A posteriori trovo tutto questo agghiacciante, e mi dispiace anche doverlo descrivere così, ma è la verità. Nella mia inesperienza di madre al primo figlio non mi ero soffermata su tutta una serie di indicatori, che, se non altro, mi avrebbero dovuto far riflettere. Ma erano indicatori non necessariamente patognomici, e nel frattempo il tempo passava. Era presente un moderato ritardo nello sviluppo grossomotorio che si è mantenuto costante in tutte le varie tappe (acquisizione della posizione seduta autonoma, gattonamento, acquisizione della posizione eretta, deambulazione), ritardo che veniva colmato in tempi ragionevoli e con modalità appropriate. Questo però ha fatto sì che nel primo anno e mezzo del bimbo noi ci preoccupassimo più di questi aspetti, forse più visibili e tangibili, che di altri.
E' stato verso i 20 mesi, ossia 3 mesi dopo che aveva iniziato a camminare, che ho cominciato a notare l'assenza assoluta di imitazione di gesti (con o senza oggetti), la mancata risposta quando veniva chiamato per nome, l'occasionale spacing out dello sguardo, l'incapacità di richiedere tramite indicazione (Lupidus utilizzava un debole sfarfallamento delle mani ponendosi di fronte all'oggetto interessato), il gioco non condiviso e non direzionabile da parte dell'adulto, essenzialmente di tipo sensorimotorio. E la parola che tardava ad arrivare, anche se in realtà lui aveva sempre lallato.
Alla scadenza dei due anni decidiamo per un consulto presso una neuropsichiatra infantile dell'USL, che ci conferma il ritardo nell'acquisizione del linguaggio, senza però rilevare ulteriori sintomi. Nel frattempo nel comportamento di Lupidus emergono alcune stereotipie (flapping, anche se non automatico ma solo in risposta a stimoli particolarmente eccitanti, camminare sulle punte dei piedi, smorfie facciali) e richiedo un'osservazione più approfondita alla specialista, paventando l'ipotesi che si possa trattare di un disturbo dello spettro autistico.
Come genitore, ora posso dire che è stato difficile non solo accettare la diagnosi, ma anche arrivare ad una diagnosi appropriata che potesse dar conto di tutti quei sintomi che andavano a comporre il quadro clinico di mio figlio. Non so se perché questi sintomi fossero sì presenti ma in maniera sfumata e non sempre così pervasiva, o se per superficialità? impreparazione? di chi era preposto a cogliergli e a sistematizzarli in maniera coerente, sta di fatto che arrivare alla nostra prima restituzione è stato un percorso in cui come genitore ho dovuto assumere una parte troppo attiva e troppo responsabilizzante nel processo. All'epoca, comunque, la neuropsichiatra dell'USL che senza alcun rimpianto da parte nostra mai più ci rivide, formalizzò una diagnosi di Disturbo Generalizzato dello Sviluppo.
Successivamente Lupidus è stato visto in maniera più seria ed esaustiva da altri specialisti, e abbiamo avuto prima una diagnosi di Disturbo Multisistemico dello Sviluppo Pattern B (diagnosi che al momento ritengo essere la più confacente al suo caso, nonostante sia applicabile a bambini fino ai 3 anni di età), e da ultimo di Disturbo Autistico vero e proprio.
Nel frattempo, come dicevo all'inizio, tutto è cambiato. Ma fortunatamente è cambiato anche a lui. Avere una diagnosi ci ha permesso di intraprendere un percorso terapeutico in tempi brevi. E questo, forse, un giorno ci farà pensare che un'etichetta diagnostica è solo un punto di partenza, non di arrivo.
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